Nei dibattiti sul trattamento dei rifiuti e sull’inquinamento climatico, il materiale al centro delle polemiche è sempre la plastica.
Quando le materie plastiche concludono il loro ciclo di vita e diventano rifiuti, la maggior parte dell’opinione pubblica le percepisce come dannose e inquinanti. Si tratta di un pensiero molto diffuso che però ha il difetto di essere parziale e veritiero solo sotto certi punti di vista.
È innegabile che gettare in mare una bottiglia di plastica comporti rischi per l’ecosistema: un rifiuto abbandonato, sia esso di plastica, alluminio, vetro o altro materiale, rappresenta sempre un problema da risolvere. Il vero nucleo della questione, però, non è il materiale in sé ma il comportamento dell’uomo che può decidere se renderlo uno scarto destinato a tornare in vita tramite il processo di riciclo, oppure un rifiuto sparso per il pianeta.
Se i materiali (qualsiasi essi siano, carta, vetro, alluminio, plastica, etc.) non vengono smaltiti in modo corretto e avviati alla fase di recupero ma, al contrario, vengono abbandonati a terra, hanno un impatto sull’ambiente, che può essere più o meno negativo a seconda del tipo di materiale. Per questo motivo, per poter definire con più chiarezza quanto impatta un materiale sull’ambiente, bisogna considerare anche altri aspetti come l’intero ciclo di vita del prodotto, dalla sua origine allo smaltimento finale.
Noi di Teamplast lavoriamo e trasformiamo la plastica e ne conosciamo a fondo le caratteristiche. Vediamo alcuni aspetti di questo materiale che troppo spesso non vengono considerati.
Emissioni di gas serra: un confronto fra i diversi materiali
Il report sottolinea il fatto che le emissioni di gas serra dovute alla produzione di imballaggi plastici sono inferiori rispetto a quelle prodotte dalle lavorazioni di altri materiali, fatta eccezione per l’acciaio.
Sono stati messi a confronto 14 materiali diversi, nelle diverse applicazioni, e in 13 casi la plastica è risultata quella che produce una quantità minore di gas serra, in percentuali che variano dal 10 al 90%.
Questo ci aiuta a capire quanto i problemi derivanti dall’inquinamento ecologico siano complessi e numerosi: un prodotto non inquina solo quando diventa da buttare, al contrario, per analizzare con oggettività il suo impatto sull’ambiente bisogna considerare l’intero processo, dalla produzione allo smaltimento finale, incluso il riciclo.
Plastiche e microplastiche negli oceani: sappiamo davvero come stanno le cose?
Come ogni estate, anche quest’anno alcuni titoli di giornale hanno riportato notizie allarmanti rispetto alla situazione dell’inquinamento degli oceani, con riferimento soprattutto alle microplastiche.
Se è pur vero che dagli anni ‘50 agli anni 2000 circa, la presenza di rifiuti plastici e microplastiche nelle acque marine è cresciuta più o meno in modo incrementale, negli ultimi 20 anni si stanno registrando delle inversioni di tendenza. Diversi studi, come quello in allegato a questo link, evidenziano come le ricerche condotte in questo senso presentano delle lacune che non permettono di individuare con chiarezza delle vere e proprie tendenze temporali coerenti e misurabili.
Attualmente, infatti, non ci sono studi affidabili che dimostrino né quale sia la reale quantità di plastica che ricopre i fondali oceanici, né quali potrebbero essere i trend futuri in termini di immissione di microplastiche tramite deposizione atmosferica. Di fatto, non è ancora chiaro se la quantità di microplastiche negli oceani stia aumentando.
Gli studiosi, ad oggi, non hanno ancora compreso pienamente alcune variabili significative, come i flussi di spostamento dei rifiuti nei mari, i tassi di affondamento e i meccanismi di degrado dei materiali e questo rende più complicato trarre delle conclusioni certe.
I rilevamenti così ottenuti, spesso, presentano dei risultati contrastanti che rischiano di amplificare i dati reali sulla quantità di plastica nei mari. I principali organi di informazione, inoltre, sono responsabili di mostrare solo una parte della questione: una notizia allarmante fa vendere più copie di una confortante. Ci sono aree geografiche, come la Spagna e il Mare del Nord in cui non è stata rilevata alcuna variazione del livello di inquinamento da plastica tra il 2007 e il 2017, altre (Mare Adriatico e Mare di Alboran, ad esempio) in cui nello stesso intervallo di tempo la quantità di rifiuti è addirittura diminuita (fonte: Galgani et al., Microplastics and Nanoplastics). Per questo è sempre meglio, per chi realmente vuole approfondire il discorso, basarsi su studi di scienziati e non su quello che ci viene mostrato dai mass media.
Conclusioni
L’attenzione crescente degli ultimi anni verso il cambiamento climatico ha accelerato anche il proliferare di ricerche e sviluppi tecnologici volti a contrastarne o rallentarne le conseguenze. Come ci dimostrano questi studi, la situazione di partenza è già di per sé piuttosto grave: in poche parole abbiamo iniziato a muoverci tardi e oggi paghiamo le spese di decenni di totale noncuranza verso l’argomento, ma il futuro sembra più confortante di quanto ci vogliono far credere.
Non possiamo quindi aspettarci che ci siano soluzioni semplici e univoche ma è fondamentale continuare a investire nella ricerca di nuovi materiali ecosostenibili e soprattutto riciclabili e in tecnologie evolute. Ci vorrebbe una seria politica mondiale che punti ad aumentare i controlli e le sanzioni verso i paesi che inquinano di più, che vada di pari passo con una concreta educazione di massa. L’Europa è fra i continenti più virtuosi nella gestione del recupero di materiali, ma queste informazioni non vengono diffuse come dovrebbero o perché “non fanno notizia” oppure perché esistono degli interessi politici ed economici che spingono a penalizzare di più il nostro continente a favore di altri. In questo scenario appare evidente quanto sia essenziale promuovere una corretta informazione basata su studi reali e certificati e puntare in modo massiccio sull’educazione ambientale dell’uomo.
Quanto inquina davvero la plastica?
Nei dibattiti sul trattamento dei rifiuti e sull’inquinamento climatico, il materiale al centro delle polemiche è sempre la plastica.
Quando le materie plastiche concludono il loro ciclo di vita e diventano rifiuti, la maggior parte dell’opinione pubblica le percepisce come dannose e inquinanti. Si tratta di un pensiero molto diffuso che però ha il difetto di essere parziale e veritiero solo sotto certi punti di vista.
È innegabile che gettare in mare una bottiglia di plastica comporti rischi per l’ecosistema: un rifiuto abbandonato, sia esso di plastica, alluminio, vetro o altro materiale, rappresenta sempre un problema da risolvere. Il vero nucleo della questione, però, non è il materiale in sé ma il comportamento dell’uomo che può decidere se renderlo uno scarto destinato a tornare in vita tramite il processo di riciclo, oppure un rifiuto sparso per il pianeta.
Se i materiali (qualsiasi essi siano, carta, vetro, alluminio, plastica, etc.) non vengono smaltiti in modo corretto e avviati alla fase di recupero ma, al contrario, vengono abbandonati a terra, hanno un impatto sull’ambiente, che può essere più o meno negativo a seconda del tipo di materiale. Per questo motivo, per poter definire con più chiarezza quanto impatta un materiale sull’ambiente, bisogna considerare anche altri aspetti come l’intero ciclo di vita del prodotto, dalla sua origine allo smaltimento finale.
Noi di Teamplast lavoriamo e trasformiamo la plastica e ne conosciamo a fondo le caratteristiche. Vediamo alcuni aspetti di questo materiale che troppo spesso non vengono considerati.
Emissioni di gas serra: un confronto fra i diversi materiali
Una recente ricerca condotta da McKinsey & Co ha analizzato la quantità di emissioni di gas serra prodotte durante le lavorazioni dei diversi materiali, plastica inclusa.
Il report sottolinea il fatto che le emissioni di gas serra dovute alla produzione di imballaggi plastici sono inferiori rispetto a quelle prodotte dalle lavorazioni di altri materiali, fatta eccezione per l’acciaio.
Sono stati messi a confronto 14 materiali diversi, nelle diverse applicazioni, e in 13 casi la plastica è risultata quella che produce una quantità minore di gas serra, in percentuali che variano dal 10 al 90%.
Questo ci aiuta a capire quanto i problemi derivanti dall’inquinamento ecologico siano complessi e numerosi: un prodotto non inquina solo quando diventa da buttare, al contrario, per analizzare con oggettività il suo impatto sull’ambiente bisogna considerare l’intero processo, dalla produzione allo smaltimento finale, incluso il riciclo.
Plastiche e microplastiche negli oceani: sappiamo davvero come stanno le cose?
Come ogni estate, anche quest’anno alcuni titoli di giornale hanno riportato notizie allarmanti rispetto alla situazione dell’inquinamento degli oceani, con riferimento soprattutto alle microplastiche.
Se è pur vero che dagli anni ‘50 agli anni 2000 circa, la presenza di rifiuti plastici e microplastiche nelle acque marine è cresciuta più o meno in modo incrementale, negli ultimi 20 anni si stanno registrando delle inversioni di tendenza. Diversi studi, come quello in allegato a questo link, evidenziano come le ricerche condotte in questo senso presentano delle lacune che non permettono di individuare con chiarezza delle vere e proprie tendenze temporali coerenti e misurabili.
Attualmente, infatti, non ci sono studi affidabili che dimostrino né quale sia la reale quantità di plastica che ricopre i fondali oceanici, né quali potrebbero essere i trend futuri in termini di immissione di microplastiche tramite deposizione atmosferica. Di fatto, non è ancora chiaro se la quantità di microplastiche negli oceani stia aumentando.
Gli studiosi, ad oggi, non hanno ancora compreso pienamente alcune variabili significative, come i flussi di spostamento dei rifiuti nei mari, i tassi di affondamento e i meccanismi di degrado dei materiali e questo rende più complicato trarre delle conclusioni certe.
I rilevamenti così ottenuti, spesso, presentano dei risultati contrastanti che rischiano di amplificare i dati reali sulla quantità di plastica nei mari. I principali organi di informazione, inoltre, sono responsabili di mostrare solo una parte della questione: una notizia allarmante fa vendere più copie di una confortante. Ci sono aree geografiche, come la Spagna e il Mare del Nord in cui non è stata rilevata alcuna variazione del livello di inquinamento da plastica tra il 2007 e il 2017, altre (Mare Adriatico e Mare di Alboran, ad esempio) in cui nello stesso intervallo di tempo la quantità di rifiuti è addirittura diminuita (fonte: Galgani et al., Microplastics and Nanoplastics). Per questo è sempre meglio, per chi realmente vuole approfondire il discorso, basarsi su studi di scienziati e non su quello che ci viene mostrato dai mass media.
Conclusioni
L’attenzione crescente degli ultimi anni verso il cambiamento climatico ha accelerato anche il proliferare di ricerche e sviluppi tecnologici volti a contrastarne o rallentarne le conseguenze. Come ci dimostrano questi studi, la situazione di partenza è già di per sé piuttosto grave: in poche parole abbiamo iniziato a muoverci tardi e oggi paghiamo le spese di decenni di totale noncuranza verso l’argomento, ma il futuro sembra più confortante di quanto ci vogliono far credere.
Non possiamo quindi aspettarci che ci siano soluzioni semplici e univoche ma è fondamentale continuare a investire nella ricerca di nuovi materiali ecosostenibili e soprattutto riciclabili e in tecnologie evolute. Ci vorrebbe una seria politica mondiale che punti ad aumentare i controlli e le sanzioni verso i paesi che inquinano di più, che vada di pari passo con una concreta educazione di massa. L’Europa è fra i continenti più virtuosi nella gestione del recupero di materiali, ma queste informazioni non vengono diffuse come dovrebbero o perché “non fanno notizia” oppure perché esistono degli interessi politici ed economici che spingono a penalizzare di più il nostro continente a favore di altri. In questo scenario appare evidente quanto sia essenziale promuovere una corretta informazione basata su studi reali e certificati e puntare in modo massiccio sull’educazione ambientale dell’uomo.
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