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La plastica è oggi al centro di un acceso dibattito ambientale. Spesso considerata il simbolo dell’inquinamento moderno, è oggetto di critiche, campagne mediatiche e normative restrittive. Ma qual è il vero ruolo della plastica nel packaging? È davvero il nemico da eliminare, o stiamo sottovalutando i suoi vantaggi e le sue potenzialità in un’ottica di economia circolare? In questo articolo analizziamo il “paradosso della plastica“, sfatando alcuni miti e offrendo una visione equilibrata basata su dati, innovazione e buone pratiche.

La plastica come materiale d’imballaggio: vantaggi e criticità

La plastica è un materiale estremamente versatile, leggero, resistente e modellabile, il che lo rende ideale per numerose applicazioni nel packaging, specialmente nel settore alimentare, cosmetico e medicale. Rispetto ad altri materiali, consente un minor impatto ambientale in fase di produzione (meno energia, minori emissioni) e una migliore protezione del contenuto, con conseguente riduzione degli sprechi.

Tuttavia, presenta anche delle criticità evidenti:

  • degrada lentamente, causando accumuli negli ambienti naturali se non correttamente indirizzata ad un sistema di riciclo.
  • è spesso usata in modo eccessivo o non necessario (overpackaging).
  • molte plastiche sono difficili da riciclare per via di composizioni miste che, tuttavia, sono spesso necessarie per specifici utilizzi.

È quindi fondamentale distinguerne l’uso corretto da quello superfluo, analizzare le reali necessità di caratteristiche particolari del packaging per evitare utilizzi sbagliati e progettare imballaggi plastic-free solo dove realmente necessario e possibile.

Il “plastic bashing”: quanto è giustificato?

Negli ultimi anni si è diffusa una narrazione estremamente negativa nei confronti della plastica, fenomeno noto come plastic bashing. Video virali, campagne pubblicitarie e immagini di oceani invasi da rifiuti hanno contribuito a creare una percezione distorta del problema.

Ma, come sottolinea anche Corepla e il progetto “The Plastic Paradox” di Canon, il problema principale non è la plastica in sé, bensì la sua gestione impropria. Demonizzare la plastica può portare a scelte affrettate, come sostituzioni con materiali alternativi che, in alcune situazioni, risultano più inquinanti nel ciclo di vita completo.

Occorre quindi spostare il focus dalla “lotta alla plastica” alla promozione del riciclo, del riuso e dell’eco-design.

Bioplastiche, compostabili, riciclabili: cosa cambia davvero?

Nel mondo dell’imballaggio si sente sempre più spesso parlare di bioplastiche, materiali compostabili, materiali Biodegradabili e plastiche riciclabili, ma la confusione regna sovrana. Ecco alcune distinzioni chiave:

  • Bioplastica: può essere bio-based (origine vegetale, o animale) ma non necessariamente biodegradabile. Alcune lo sono, altre no.
  • Compostabile: si degrada in condizioni controllate (industriali), ma non sempre nel compost domestico.
  • Biodegradabile: si degrada in determinate condizioni, anche in natura, ma occorre umidità e temperatura adeguata, oltre alla presenza di microrganismi (come, enzimi, batteri, funghi o alghe) che distruggono fisicamente il polimero; tale processo non avviene necessariamente solo con le Bioplastiche. Per essere definito biodegradabile un materiale deve degradare almeno per il 90% entro i 6 mesi.
  • Riciclabile: è plastica monomateriale che può essere riportata sottoforma di materia prima, spesso in maniera meccanica a basso impatto, per essere rilavorata nelle stesse condizioni di quella vergine di origine fossile e poi reintrodotta nel ciclo produttivo, a patto che venga correttamente raccolta e separata

La soluzione ideale non è sempre la bioplastica ma il materiale giusto nel contesto giusto, con una progettazione che consideri le caratteristiche necessarie dell’imballaggio per il suo utilizzo e periodo di utilizzo previsto oltre che tutto il ciclo di vita del prodotto.

La sfida della plastica monouso (SUP Directive)

L’Unione Europea ha introdotto la Direttiva SUP (Single Use Plastic) per contrastare l’uso di plastica monouso non essenziale, vietando o limitando prodotti come cannucce, posate, piatti e bastoncini cotonati. Tuttavia, dopo soli pochi mesi ci si è accorti che alcuni prodotti in plastica, come le cannucce, non sono così facili da sostituire tantoché l’America le ha rimesse in produzione e circolazione.

Per il packaging, questo ha comportato una spinta verso:

  • l’adozione di materiali alternativi
  • il redesign di imballaggi per ridurre la quantità di plastica
  • l’aumento del contenuto riciclato negli imballaggi (es. PET riciclato)

L’Italia ha recepito la direttiva cercando un equilibrio tra sostenibilità e competitività industriale, supportando le aziende nella riconversione produttiva e nella ricerca di soluzioni innovative.

Iniziative concrete per la plastica circolare

Molte aziende italiane si stanno distinguendo nel percorso verso una plastica circolare. Alcuni esempi:

  • Corepla ha sviluppato impianti innovativi per il trattamento dei polimeri misti e campagne educative per migliorare la raccolta
  • Aliplast produce plastica riciclata di alta qualità per il food contact
  • Ferrarelle utilizza bottiglie in PET 100% riciclato
  • Start-up e PMI stanno sperimentando plastica biodegradabile da fonti marine, scarti agricoli e alghe

Inoltre, progetti come IPPR (Istituto per la Promozione delle Plastiche da Riciclo) certificano i prodotti contenenti plastica riciclata, promuovendo una maggiore trasparenza e tracciabilità.

La plastica nel packaging non è il nemico, ma una risorsa da gestire responsabilmente. Demonizzarla non risolve il problema, anzi rischia di peggiorarlo. Serve un approccio razionale, basato su eco-design, riciclo, educazione e innovazione. Solo così potremo trasformare il paradosso della plastica in una sfida vinta per la sostenibilità.

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